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Accademia Adriatica Internazionale della Vela
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Skipper professionale: è giusto prevedere una differenziazione tra skipper d'altura e skipper oceanico? Uno scambio di opinioni tra Cino Ricci e Giancarlo Basile

Ecco due interventi molto autorevoli sull'argomento:

Ci scrive il 25 marzo 2006 Cino Ricci:

Ho dato un'occhiata al vostro sito e devo obbiettare su quanto offrite  ai  vostri associati.
 Il fatto di dividere i diplomi in più gradi secondo  dove  uno skipper deve navigare è un nonsenso: forse pensate che ci voglia una  maggior abilità o esperienza fare una traversata oceanica che affrontare  il  Golfo del Leone o quello di Taranto o un vero colpo di Bora scura.
Una  vera  tempesta (invernale o no) in questi posti non ha nulla di meno che  subita in  Atlantico.Uno skipper a cui viene affidata una barca, a volte con una famiglia a bordo deve essere in grado di portare a casa "corpi e beni"  sempre ed in qualunque mare.
 La divisione che fate dovrebbe essere solo  per  le miglia fatte (come sugli aerei) e non per grado di abilità provata  con  gli esami che devono per forza avvenire in condizioni ottimali.

Il primo aprile Giancarlo Basile risponde a noi e a Cino Ricci:

 Caro Presidente,

 è certamente vero che il Golfo del Leone è conosciuto dai marinai di tutto  il mondo per come può essere cattivo. Chi non ricorda la tragedia del  Parsifal di una decina d'anni fa?
 E' tuttavia anche vero che nella nostra marina mercantile per diventare  Capitano di Lungo Corso da sempre occorrono due anni di navigazione fuori  dagli stretti. Ci sarà pure un motivo per questa conditio sine qua non.
Il piccolo  cabotaggio è una cosa, la navigazione oceanica è un'altra, e non è soltanto  una questione di mare più o meno cattivo che si può incontrare, è un più  elevato bagaglio di conoscenze che dovrebbe possedere chi parte per una  traversata oceanica rispetto a chi fa navigazione costiera nei mari   nostrani. 
 Il marinaio che accumula centinaia di migliaia di miglia in una vita sul   mare facendo il piccolo cabotaggio e basta non è alla stessa altezza di   quello che naviga in tutti i mari del mondo. La stessa cosa si può dire per   lo skipper o comandante di imbarcazione da diporto. 
 Per fare un esempio, si può navigare con sicurezza nei mari nostrani senza   saper nulla di navigazione astronomica, altrettanto non si può dire per chi   intraprende una navigazione a lungo raggio fuori dagli stretti.
 E questo è   valido anche ai giorni nostri, col GPS che sembra aver soppiantato il   sestante.   Un altro esempio: a noi mediterranei sono sconosciute le maree e le correnti   di marea che creano grossi problemi alla navigazione in certe zone del   mondo, dove si possono avere sette o otto nodi di corrente di marea che   vanno contro un forza otto o nove: chi non ricorda il fastnet del 79? 
 Pertanto, prima di distinguere tra skipper e skipper solo in base alle   miglia effettivamente percorse, direi che è senz'altro il caso di prendere   in considerazione anche dove e come le ha navigate.   Sarebbe molto interessante sentire su questo argomento un Paul Cayard, che,   oltre alle regate sulle stelle e sui Coppa America davanti al porto, si sta   cimentando nella Volvo Ocean Race, la regata attorno al mondo alle alte   latitudini australi. 
 Cordiali saluti.   
 Giancarlo Basile

(Giancarlo Basile è socio della AAIV e mebro del Comitato dei Garanti)